La nostra prima volta...

 … nel Sud-Est Asiatico

  


Dopo 8 anni di matrimonio sempre con poco denaro in tasca, nel 1999 una parziale ristrutturazione della modesta casa che avevamo acquistato ci diede la possibilità di rinegoziare il mutuo, con un piccolo importo residuo da investire (finalmente!) in almeno un paio di settimane di vacanza, tra giugno e luglio di quell’estate.

Sembrava prioritario concentrarci sulla durata del soggiorno piuttosto che sulla destinazione, cercando di far “fruttare” al massimo il budget per estendere quanto più possibile il periodo di riposo; l’unico requisito imprescindibile era poter godere del mare, da sempre nostra grande passione.

Con la convinzione di risparmiare, avevamo pertanto esplorato da principio le mete nostrane, a corto/cortissimo raggio; ci rendiamo però presto conto che i residence di Sicilia e Sardegna non avrebbero permesso una lunga villeggiatura, perché – anche non in piena alta stagione – i costi apparivano già alquanto proibitivi.

E l’estero? Fino ad allora non avevamo avuto molte occasioni per recarci oltre confine, se non durante le tre settimane della luna di miele nella romantica Vienna (nel giugno 1991) ed un’altra sul Mar Rosso, ad Hurgada in Egitto (nel febbraio 1998).

Abbiamo dimenticato esattamente come accadde, ma ci capitò di consultare un catalogo di partenze libere per l’Indonesia, con la possibilità di effettuare uno stop over di alcuni giorni a Singapore per una cifra forfettaria assai conveniente; la compagnia di bandiera della città-Stato stava infatti in quel momento cercando di incentivarne il turismo proponendo un pacchetto a prezzo fisso che includeva pernottamento, trasporto da/per l’aeroporto ed una serie di ingressi alle principali attrazioni locali.

Pietro aveva da poco completato il suo corso di laurea magistrale, affrontando come ultimo esame quello previsto dall’insegnamento di “Teatro d’animazione”, al cui interno era inserito lo studio delle drammaturgie orientali ed in particolare un laboratorio monografico su “Società e teatro a Bali”; si trattò quindi di una sorta di irresistibile richiamo: la possibilità di sperimentare dal vero il fascino che quelle terre remote avevano esercitato dalla pagina scritta attraverso la loro cultura, le loro tradizioni, l’articolata struttura sociale, le danze rituali…

In men che non si dica avevamo perciò deciso di buttarci in quella che per noi sarebbe stata la prima vera avventura, lontani 15.000 km da casa, proiettati in un contesto totalmente diverso da ciò di cui avevamo fatto esperienza.

 

L’operativo prevedeva l’avvicinamento da Bologna a Roma Fiumicino con la (fu) Alitalia, quindi un volo Singapore Airlines fino a Denpasar con cambio di aeromobile presso l’hub della compagnia; di lì, con un secondo collegamento avremmo poi raggiunto Mataram, da dove ci saremmo imbarcati per il ritorno, con una sosta prolungata a Singapore; a conclusione, avremmo nuovamente guadagnato casa via Roma.

Eccitatissimi, avevamo accuratamente preparato documenti e bagagli con tutto il necessario (ed anche assai di più di ciò che sarebbe effettivamente servito!) per la nostra permanenza dall’altra parte del globo, e ci eravamo armati di pazienza per quello che sapevamo essere un trasferimento aereo parecchio impegnativo – con spostamento interno e scalo, circa sedici ore complessive.

L’apparecchio che deve portarci a Fiumicino, proveniente da Milano, viene annunciato in ritardo di sessanta minuti, ma non ci preoccupiamo, perché l’intervallo per la coincidenza è abbastanza ampio; poi comunicano che il differimento raddoppierà, ed il servizio passeggeri ci rassicura che comunque non avremo impedimenti ad arrivare in tempo per la rotta intercontinentale; infine, in ossequio alla “prima legge di (Edward Aloysius) Murphy”, secondo la quale «se qualcosa può andar male, lo farà», ci notificano che a causa di un ulteriore rinvio della partenza da Bologna saremo costretti a scegliere: l’alternativa è tra prendere il volo Singapore Airlines senza poter contare sulle valigie al seguito, oppure riottenere i bagagli ed attendere l’indomani per procedere alla volta della Città del Leone. Per fortuna, un tardivo ripensamento aveva consigliato di stipare nel trolley a mano l’indispensabile per sopravvivere in autonomia un paio di giorni, quindi non abbiamo troppi tentennamenti: si va a Bali equipaggiati soltanto dell’essenziale, à la guerre comme à la guerre!

Intanto, sul jet per Roma, ci rendiamo conto che l’atterraggio della tratta iniziale avverrà oltre l’orario di decollo della seconda; poiché non siamo i soli ad aver prenotato il posto su quell’aeromobile, le hostess avvertono a terra di aspettarci. Naturalmente, il gate a cui approdiamo (arrivi nazionali) si trova nell’area opposta rispetta a quella da cui dobbiamo imbarcarci (partenze internazionali), per cui il transfer si trasforma in una corsa forsennata sui tapis roulant dell’aeroporto, così da stabilire probabilmente il nuovo record di velocità nel raggiungere l’uscita.

Avete presente le lunghe file ai check-in che di solito mettono a dura prova la resistenza e la sopportazione dei passeggeri? In quell’occasione, bastò una manciata di secondi per un rapido controllo del passaporto, perché l’aereo stava scaldando i motori; appena il tempo di allacciare le cinture di sicurezza, e l’attimo dopo stavamo rullando sulla pista.

Singapore Airlines vantava già allora una delle migliori Economy Class in assoluto (tra l’altro, l’unica che servisse gratuitamente agli ospiti nientemeno che lo champagne!); l’elevato comfort – assieme all’adrenalina che senza dubbio turbinava in circolo – contribuì a rendere decisamente piacevole la prima esperienza di pasti e pernottamento a bordo.

 

Malgrado scalpitassimo per scappare in albergo e cominciare ad esplorare la nostra destinazione (dopo aver goduto finalmente di una bella doccia rigenerante), dovemmo invece subito fronteggiare lo scoglio del Lost&Found, cimentandoci in descrizioni particolareggiate con un inglese che all’epoca era ancora piuttosto incerto.

Ad ogni modo, veniamo finalmente accolti al Grand Bali Beach (ora Grand Inna Bali Beach), storico hotel a 4 stelle situato direttamente sulla spiaggia, nella parte settentrionale del villaggio di Sanur. Costruito negli anni ’60 in uno stile occidentale che oggi stona decisamente con il resto degli edifici, l’albergo inaugurò di fatto la stagione dell’espansione del turismo nell’Isola degli Dèi, fino a quel momento meta d’elezione soprattutto di artisti ed antropologi.

Ci servirono un paio di giorni per ambientarci, familiarizzare con le usanze locali, perlustrare i dintorni, recuperare il fuso nonché le nostre valigie, accompagnate dalle accorate scuse dell’incolpevole compagnia singaporeana e da un contrito funzionario in uniforme, che ci offrì un drink presso il bar della hall e persino una compensazione in denaro per il disturbo.

Nel frattempo, prendiamo accordi con Ada, un simpatico ragazzo balinese in grado di parlare italiano che può farci da guida nei varî tour alla scoperta del territorio, con le classiche escursioni che costituiscono il minimo sindacale per qualunque visitatore all’approccio iniziale con quella civiltà: Ubud ed il suo mercato, la lavorazione dell’argento di Celuk e quella del legno di Mas, le foreste delle scimmie di Ubud e di Sangeh, le risaie a terrazza, il palazzo di Semarapura a Klunkung, il rafting sul fiume Ayung, la cena di pesce sulla spiaggia di Jimbaran, le danze rituali (Barong, Kecak) e quelle di corte (Legong), il villaggio montano di Kintamani sul bordo della caldera del monte Batur e dell’omonimo lago – e poi, i luoghi di culto: il complesso del Tempio Madre di Besakih lungo le falde del vulcano Agung, quello del Taman Ayu di Mengwi, la costruzione sacra in mezzo al mare di Tanah Lot, quella a picco sulla scogliera di Uluwatu, quella che sembra galleggiare sul lago Bratan (Ulun Danu Bratan), quella popolato di pipistrelli di Goa Lawah

Un caleidoscopio di colori, profumi e suoni che catturano e rapiscono, assieme al ripetuto rituale delle offerte ed alla amabile cortesia degli abitanti, che sembrano svolgere molte delle loro attività con una grazia innata nei gesti.

 

Su un altro fronte, tuttavia, il viaggio si proponeva anche uno scopo assai meno vacanziero.

Entrambi avevamo scelto fin da giovani di dedicare la nostra vita al servizio del Creatore come Testimoni di Geova, e con l’occasione avremmo tanto desiderato incontrare i nostri fratelli di fede della zona, sebbene fossimo stati informati che allora l’Indonesia (il più vasto Paese islamico al mondo) non permetteva di professare liberamente la nostra religione, soprattutto a causa dell’opera di evangelizzazione per cui la confessione è conosciuta ovunque.

Prima di partire, avevamo ottenuto da fonti non ufficiali un numero di telefono ed un nominativo attraverso cui tentare un contatto; non senza qualche titubanza ed un iniziale imbarazzo, eravamo comunque riusciti a stabilire un appuntamento che ci avrebbe condotto ad una riunione organizzata in un posto ritenuto sicuro.

Una giovane coppia ben vestita ci raggiunse in hotel, e ci invitò a prendere un auto pubblica per accodarsi al loro scooter; il conducente del taxi fu alquanto interdetto nel sentirsi intimare: “Segua quella motocicletta!”, ed ancora più meravigliato (e preoccupato per la nostra incolumità) quando chiedemmo di essere lasciati in mezzo al nulla, al margine della foresta.

Penetrammo in una porzione di boscaglia dove la gente viveva in baracche di legno ed i bambini giocavano nudi in mezzo agli animali da cortile; dopo qualche minuto arrivammo in una radura dove era stato eretto un bale (il tipico padiglione aperto balinese, caratteristico punto di incontro delle comunità locali), ed avemmo la sorpresa di trovare diverse decine di persone radunate per studiare insieme la Bibbia. Allorché la tensione accumulata si fu sciolta, mentre veniva intonato un cantico in Bahasa Indonesia, non potemmo fare a meno di abbandonarci al pianto, commossi di aver ritrovato in quel remoto recesso del globo un frammento della nostra famiglia internazionale, alla quale ci siamo subito legati.

 

La tappa successiva del nostro itinerario era Lombok, la cui capitale Mataram dista solo qualche decina di minuti di volo dalla sua omologa balinese, Denpasar. Avevamo deciso di stabilire la base lungo la costa Occidentale, all’Holiday Inn di Sengiggi, che rappresentava l’area a maggior presenza turistica; di lì ci siamo spinti nell’entroterra selvaggio dell’isola, ma anche fino all’estremo Sud in via di sviluppo (la spiaggia di Kuta) e fino ai gioielli al largo del litorale Nord-Ovest, le famose isole Gili (Air, Meno e Trawangan).

 

Infine, ci aspettava Singapore.

Già l’impatto con l’aeroporto Changi è sempre impressionante, per la grandezza e modernità degli edifici, ma ancor più per la varietà di ciò che offre in termini di shopping, cibo, comfort ed intrattenimento.

La città è una mescolanza ipnotica di innovazione e memoria, dove convivono le soluzioni d’avanguardia della metropoli (aumentate nel corso degli ultimi due decenni) con il folclore etnico dei quartieri.

Abbiamo soggiornato all’Albert Court Hotel, struttura dignitosa assegnata con formula roulette dalla promozione “SIA Stopover” della Singapore Airlines, nei pressi della stazione Rochor della Metropolitana (Mass rapid transit – MRT), proprio alle porte di Little India, ma anche non distante da Chinatown e dal distretto coloniale.

Dopo aver raggiunto l’isola di Sentosa con la funicolare che parte dal Mount Faber, ci siamo lasciati conquistare dalle attrazioni all’epoca disponibili – oggi ne sono state aperte parecchie altre: il Southernmost Point of Continental Asia (il punto più meridionale dell’Asia continentale), il complesso militare di Fort Siloso, la storia della nazione ricostruita attraverso dei quadri tridimensionali a misura naturale (Images of Singapore), l’esibizione dell’Adventure Cove Waterpark e della Dolphin Island, lo spettacolare oceanario Underwater World S.E.A. (South East Asia) Aquarium, il Parco delle Farfalle associato al Regno degli Insetti.

Quest’ultimo è stato teatro di uno spassoso episodio. Mentre osserviamo con attenzione (e non senza qualche preoccupazione) le teche in cui è conservato un numero infinito di esemplari di vario genere, alcuni dei quali davvero giganti, un giovane uomo ci guarda da una certa distanza, e sorride amichevolmente abbozzando un inchino; accade nella prima sala, poi nella seconda, e così via; da parte nostra, ricambiamo ogni volta la cortesia con un sorriso ed un cenno della testa, pensando alla solita cordialità orientale, finché… nei pressi dell’uscita, il soggetto ci propone di fare una fotografia insieme, e capiamo immediatamente il perché, nel momento in cui riusciamo finalmente a vederlo a figura intera: dal collo in giù, ha tutto il corpo coperto da enormi scorpioni!!!

Richiamo turistico immancabile è il Singapore Zoological Garden, considerato il miglior zoo pluviale del mondo, praticamente privo di gabbie.

Pure a questo luogo leghiamo un ricordo divertente. Premettiamo che il geco è un simpatico rettile completamente innocuo (anzi, utile nella lotta alle zanzare) molto diffuso nella fascia equatoriale, e si trova praticamente dovunque, incluse le stanze d’albergo. Durante la prima notte all’Holiday Inn di Sengiggi ne avevamo trovato uno di taglia considerevole in bagno, ed avevamo richiesto l’intervento di qualcuno per allontanarlo, perché rimaneva immobile e temevamo potesse essere in pericolo. Un addetto alla sicurezza si era presentato alla porta della camera, chiedendo con vaga aria di sufficienza dove fosse l’intruso – quasi a dire: «I soliti turisti occidentali che si spaventano per una lucertolina…»; invece, dopo essere entrato a controllare, era uscito con lo sguardo terrorizzato, parlando concitatamente al walkie-talkie per chiamare rinforzi, che erano sopraggiunti con una grande rete da accalappia…gechi. Soltanto quando siamo alla presenza del geco gigante ospitato al giardino zoologico di Singapore ci rendiamo conto che quello incontrato a Lombok era di una stazza proprio eccezionale, assai più notevole rispetto al povero esempio esposto al pubblico...

Attendiamo nei paraggi dello zoo il crepuscolo per visitarne la parte notturna, il Night Safari, pioniere tra i parchi di questo genere, con i battenti aperti fin dal 1994. In un’atmosfera alquanto suggestiva, percorriamo inizialmente il Forest Giants Trail (“il Sentiero dei Giganti”), sospesi su passerelle a mezza altezza di alberi secolari ciclopici; ci inoltriamo quindi in ciascuno degli altri quattro itinerari che – sempre senza sbarre - attraversano il parco, sulle tracce di leopardi, wallaby, gatti pescatori e decine di animali che preferiscono l’oscurità alla luce.

 

Anche parecchi mesi dopo il rientro a casa, quel viaggio ha continuato ad esercitare una formidabile fascinazione sulla nostra quotidianità, tanto che spesso ci capitava di convertire gli acquisti che stavamo per compiere nell’equivalente di spesa per una eventuale successiva trasferta: un paio di scarpe = due pernottamenti a Bali, una giacca pesante per l’inverno = quattro pernottamenti a Bali, una cena fuori = due (forse tre) ulteriori pernottamenti a Bali…

Quasi invariabilmente scoprivamo che il costo di un qualsiasi oggetto non avrebbe mai potuto bilanciare l’effetto di ripetere una simile esperienza – ed infatti, da quel momento abbiamo cominciato a risparmiare per avere l’occasione di metterci di nuovo in cammino per qualche altra avventura, ora con maggiore consapevolezza di cosa cercare.

 

 

N.B. – Tutte le attrazioni ed i luoghi elencati nel post saranno oggetto di ulteriori approfondimenti in successivi articoliSTAY TUNED!




Siamo sicuri che il vostro primo tour (più o meno lungo) nel Sud-Est Asiatico vi toccherà il cuore, e quando tornerete a casa – oppure se ci siete già stati – non vedrete l’ora di tornarci al più presto! Con le nostre soluzioni personalizzate la vostra prossima vacanza può essere ritagliata su misura in base ai vostri interessi ed al vostro budget per soddisfare pienamente tutte le vostre aspettative. Chiedere un preventivo non costa nulla, ma può permettervi di cominciare a sognare…



Finuccia & Pietro

 

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