«Bhinneka tunggal ika» • Indonesia

 «Bhinneka tunggal ika» • «Diversi, ma uno» o «Unità nella diversità»

 

Il motto riportato anche sullo stemma ufficiale della Repubblica d’Indonesia riassume in modo efficace la realtà di questo Paese, che malgrado le profonde differenze (geografiche, etniche, linguistiche, culturali e religiose) aspira all’unità, ed anzi racchiude tale varietà come una ricchezza peculiare.

Per capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo pensare al più esteso arcipelago del globo, chiamato significativamente dai locali «Tanah air kita» / «Terra acqua nostra» o «La nostra terra d’acque»: 18 mila e più isole, le cui terre emerse coprono una superficie di circa 2 milioni di kmq (pari pressappoco a sette volte il territorio italiano), disseminate su una porzione di mare estesa 5 milioni di kmq (pari pressappoco a sedici o diciassette volte il territorio italiano); una popolazione che supera i 275 milioni di persone (quarta nazione per numero di abitanti) appartenenti ad almeno 400 gruppi etnici, che parlano in tutto oltre 700 lingue e dialetti e custodiscono tradizioni secolari autoctone.


 

Il simbolo araldico (chiamato Garuda Pancasila) scelto a rappresentare l’Indonesia ne illustra sinteticamente nel suo insieme alcune peculiarità fondamentali.

Un’aquila giavanese raffigura la divinità hindu Garuda (mitologico capostipite della stirpe degli uccelli, la quale sostiene un blasone diviso in cinque parti, tanti quanti sono i valori fondamentali della ideologia politica del Paese, detta Pancasila – dal sanscrito Panca (cinque) e Sila (princìpi).

L’uso di Garuda richiama i regni hindu pre-coloniali che governavano l’area, e raffigura la forza del potere, assieme alla grandezza e alla gloria del colore dorato; il numero totale delle penne (17 per ogni ala, 8 nella coda, 19 alla base della coda e 45 nel collo) equivale al 17/8/1945, il formato internazionale della data di proclamazione dell’indipendenza, cioè appunto il 17 agosto 1945. Tra gli artigli il rapace tiene il motto «Unità nella diversità».

Lo scudo (metafora della difesa della patria) utilizza i colori della bandiera Indonesiana ed è attraversato orizzontalmente da una spessa linea nera, con allusione all’equatore che passa nel bel mezzo dell’arcipelago indonesiano.

Nel settore centrale si staglia in campo nero (la natura) una stella dorata a cinque punte, corrispondente al primo enunciato della Pancasila, cioè «Ketuhanan Yang Maha Esa» / «Fede nell’unico e solo Dio», che idealmente accomuna nel monoteismo (non senza qualche forzatura) tutte le fedi: Islam, Cristianesimo, Induismo e Buddhismo.

Partendo da in alto a sinistra, nel primo quarto è raffigurata la testa di un banteng (bovino selvatico giavanese endemico) in campo rosso; per la sua socialità, l’animale è associato all’idea di democrazia ed illustra il quarto principio della Pancasila: «Kerakyatan Yang Dipimpin oleh Hikmat Kebijaksanaan, Dalam Permusyawataran Perwakilan» / «Democrazia guidata dalla saggezza interiore dell’unanimità derivata dalle delibere dei rappresentanti».

Procedendo in senso orario, si trova un banyan (in indonesiano, beringin, della famiglia dei Ficus) in campo bianco; caratteristica principale dell’albero è avere radici e rami espansivi fuori terra, paragonabili a molte e varie culture che confluiscono, ed illustra il terzo principio della Pancasila: «Persatuan Indonesia» / «Unità dell’Indonesia».

In basso a destra c’è una catena d’oro in campo rosso, i cui 9 anelli circolari e 8 anelli quadrati rappresentano rispettivamente le donne e gli uomini del paese, e tutti insieme il succedersi delle generazioni, per illustrare il secondo principio della Pancasila: «Kemanusiaan Yang Adil dan Beradab» / «Giustizia e civiltà umana».

Infine, in basso a sinistra, sono riprodotte una spiga di riso (il nutrimento) ed una di cotone (il sostentamento) in campo bianco, ad illustrare il quinto ed ultimo principio della Pancasila: «Keadilan Sosial bagi seluruh Rakyat Indonesia» / «Giustizia sociale per tutto il popolo indonesiano».



La semplice bandiera, composta da due bande monocromatiche orizzontali di uguali dimensioni, deriva i proprî colori da quelli dell’antico regno giavanese del XIV Majapahit. Chiamata «Sang Saka Merah-Putih» / «Maestoso bicolore rosso-bianco» dove il rosso è il coraggio ed il bianco la giustizia e la purezza.



Inizialmente – dal VII al XIV secolo - furono l’Induismo ed il Buddhismo indiano che influenzarono la nascita di numerosi regni locali; fu sempre dall’India che mercanti arabi importarono l’Islam, diffondendola come religione predominante.

I primi coloni ad arrivare nel Sud-Est asiatico furono i portoghesi, soppiantati nel XVII secolo dagli olandesi, che si arricchirono enormemente con il commercio delle spezie sotto il controllo della Compagnia Olandese delle Indie Orientali; nel 1824 un trattato stabilì la separazione con la Malaysia, divenuto territorio inglese.

Fra la prima e la seconda guerra mondiale, gli intellettuali locali promossero un movimento di liberazione, che entrò in contrasto con la dominazione olandese; approfittando dell’occupazione nazista dei Paesi bassi, il Giappone insediò un comitato che proclamò l’indipendenza il 17 agosto 1945; le trattative e gli scontro armati durarono per altri quattro anni, finché la regina Giuliana concesse il riconoscimento ufficiale il 17 dicembre 1949.

Il primo presidente (già capofila della rivoluzione) Kusno Sosrodihardjo, meglio conosciuto come Sukarno, tentò una modernizzazione, ma il suo governo si incanalò progressivamente in una deriva autoritaria ed un atteggiamento espansionistico, i quali portarono gravissime difficoltà economiche; nel 1965 Haji Mohammad Suharto gli successe in seguito ad un sanguinoso colpo di stato con cui vennero eliminati tutti gli oppositori del regime. Per i trent’anni successivi, la dittatura ricalcò il piano di Sukarno, incentivando la crescita attraverso capitali esteri e perseguendo una politica estera estremamente aggressiva; tuttavia, la diffusa corruzione dei centri di potere (con cui alcuni, compreso il capo di stato e la sua famiglia, si arricchirono a livello personale in maniera smisurata) condusse ad una profonda crisi finanziaria che sollevò le masse in diffuse proteste popolari, così che Suharno fu costretto alle dimissioni nel 1998.

Da allora si sono susseguiti altri cinque presidenti, fino all’attuale Joko Widodo, in carica dal 2014, leader del Partito Democratico Indonesiano di Lotta (Partai Demokrasi Indonesia Perjuangan, PDI-P), di orientamento liberaldemocratico.

Durante il mandato di Diah Permata Megawati Setiawati Sukarnoputri (figlia di Sukarno), il 12 ottobre 2002 gli estremisti islamici jihādisti dell’organizzazione Jemaah Islamiyah misero in atto l’attacco terroristico più sanguinoso nell’intera storia del Paese, con un attentato suicida nella zona più affollata dell’isola di Bali, presso locali notturni in cui l’ingresso era consentito soltanto ai turisti; il bilancio fu di 202 morti, 38 indonesiani e 164 stranieri provenienti da 22 diverse nazioni – la maggior parte delle vittime aveva un’età compresa tra i 20 ed i 30 anni e molte di loro (88) provenivano dall’Australia.

Il 26 dicembre 2004 un terribile terremoto di magnitudo 9,3 sulla scala Richter scosse la costa occidentale dell’isola di Sumatra, ed specialmente la provincia settentrionale di Aceh, che fu la prima ad essere raggiunta e devastata da uno tsunami con onde anomale di risalita alte fino 25 m; quest’area risultò la più colpita (almeno 200.000 morti, secondo le stime più riduttive) dal Maremoto che interessò l’intero l’Oceano Indiano, fino alle coste orientali dell’Africa distanti 7.000 km.

Questi due avvenimenti hanno comunque contribuito in qualche modo a rendere l’Indonesia un territorio maggiormente controllato sia dal punto di vista della sicurezza pubblica che da quello della prevenzione dei disastri naturali, così che oggi, in generale, un viaggio di qualsiasi tipo può essere intrapreso senza rischi significativi particolari.



Il sottosuolo, il territorio e le acque garantirebbero una immensa ricchezza, ancora mal sfruttata e distribuita. Le attività connesse al turismo incidono da decenni quasi per la metà al prodotto interno lordo del paese; in questa ottica, il lockdown conseguente al COVID ha avuto ovvie ripercussioni devastanti sull’economia locale.

Il tasso di disoccupazione pre-pandemico era piuttosto basso (anche se la conversione in consistenza numerica parla di forse oltre 25 milioni di persone), ma i salari - già per lo più miseri – sono stati drasticamente ritoccati al ribasso a causa della crisi, con tagli fino al 50%.

Sacche di povertà diffusa si trovano a ridosso delle città principali, soprattutto per effetto delle migrazioni interne verso realtà che apparentemente sembrano offrire maggiori opportunità di impiego; una fetta considerevole della popolazione sostiene la famiglia producendo e consumando i prodotti del piccolo allevamento avicolo e della coltivazione di vegetali.


La gente indonesiana è eccezionalmente aperta, ospitale, cordiale e piuttosto curiosa nei confronti dei visitatori, tanto che l’esperienza a livello umano costituisce di norma un altro aspetto memorabile per chiunque si avventuri nella quotidianità degli abitanti.



Dunque, natura ed ambienti meravigliosi, culture straordinarie, unite ad un patrimonio ricco di valori come tolleranza ed umanità: cosa si può chiedere ancora ad una destinazione?




Se non sei ancora stato in Indonesia, cosa aspetti a prenotare la tua avventura?



Finuccia & Pietro

 

  finuccia.brugaletta@evolutiontravel.email

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