«Selamat datang!» • Il Sud-Est Asiatico
«Selamat
datang!» • «Benvenuto!»
C’è un angolo di mondo dove oltre 300 milioni di persone sono unite da un idioma che discende dalla lingua franca di antichi mercanti.
C’è un angolo di mondo dove coesistono da lunga data le etnie provenienti dai quattro angoli del globo: europoidi, mongoloidi, negroidi e australoidi.
C’è un angolo di mondo dove la biosfera sembra essere un laboratorio sempre in fermento, sia rispetto al versante della natura (ovunque strabordante, sopra e sotto la terra come sopra e sotto il mare) che rispetto al versante della cultura (nelle più varie manifestazioni, dalle più semplici e spontanee alle più elaborate e codificate).
Questo angolo di mondo è precisamente l’area più meridionale del Sud Est Asiatico, costituita da Indonesia, Malaysia (Malesia) peninsulare, la città-stato di Singapore, l’isola del Borneo (ripartita tra Malaysia, sultanato del Brunei Darussalam ed Indonesia) e la minuscola Repubblica Democratica di Timor Est.
Nelle
prime quattro nazioni il Bahasa Malaysia / Melayu, (cioè la
“lingua malese / malay”) è ad ogni effetto considerata lingua ufficiale (anche
nella sua variante indonesiana, detta appunto Bahasa Indonesia, cioè
“lingua indonesiana”). A Timor Est, invece, dalla secessione avvenuta nel 2002,
il portoghese ed il locale tetum/tetun hanno sostituito la lingua imposta per
27 anni dal governo di Jakarta; il nuovo stato sovrano mantiene comunque un’ovvia
strettissima contiguità geografica con l’Indonesia, poiché l’altra metà
dell’isola – Timor Ovest, che peraltro ne include un’enclave – è rimasta
indonesiana, e pertanto il relativo idioma viene parlato ancora in maniera corrente
sull’intero il territorio.
Nel
tempo, la popolazione ha subito una stratificazione ed una mescolanza, dovuta
all’incontro tra gli abitanti di origine malese (da Ovest) e quelli di
origine aborigena australiana (da Est), mentre si innestavano
diffusamente i cinesi ed attecchivano minoranze indiane (in
particolare, a Singapore e a Bali); a partire dal XVII secolo, e fino a qualche
decennio fa, i coloni europei si sono insediati in tutta la regione,
lasciando un’impronta duratura e ancora ben presente: gli inglesi in Malaysia e
a Singapore, gli olandesi in Indonesia, i portoghesi a Timor.
L’influsso
dell’occupazione si ritrova ancora in certa architettura, in alcune prassi
amministrative e persino nelle tradizioni culinarie; è altresì possibile rintracciare
anche un sostanzioso numero di persone, nate nella prima metà del secolo
scorso, che posseggono la cittadinanza di uno degli Stati del Vecchio
Continente, ma sono venute in realtà alla luce in uno di questi paesi a cavallo
dell’equatore, dove hanno magari trascorso l’infanzia, e dove hanno poi deciso
di vivere, lavorare o ritirarsi permanentemente.
L’ambiente
geografico ed umano di tali luoghi è così vasto ed eterogeneo da riuscire a
contenere una ricchezza davvero incredibile in termini di biodiversità e
di sviluppo delle civiltà.
Proprio
nel mezzo dell’arcipelago malese (che coincide con la mappa politica
dell’Indonesia) passa infatti l’immaginaria “Linea di Wallace”, la quale
– secondo gli studî dell’omonimo studioso gallese dell’Ottocento – separa dal
punto di vista biologico flora e fauna dell’Asia da quelle dell’Oceania. Lo
spartiacque si distende da Nord tra le grandi isole del Borneo ad occidente e
del Sulawesi ad oriente, attraverso l’ampio stretto di Makassar (710 km di
lunghezza, 300 di larghezza massima ed oltre 2.450 metri di profondità), per
poi insinuarsi a Sud tra le assai più modeste isole di Bali ad Ovest e di
Lombok ad Est, nell’angusto stretto (60 km di lunghezza, 40 di larghezza
massima e 250 metri di profondità) che prende il nome da quest’ultima.
Foreste
e mari pullulano letteralmente di migliaia di vegetali ed animali come in
nessun altro posto.
Basti pensare che soltanto nella cosiddetta “Wallacea” (la porzione di superficie compresa tra Bali e Papua) si contano 10.000 varietà di piante, 1.142 varietà di vertebrati terresti, 650 varietà di uccelli e 226 varietà di mammiferi; circa 1.500 (il 15%) delle prime, 529 (il 46%) dei secondi, 265 (il 41%) dei terzi e 124 (il 55%) sono specie endemiche, che cioè non è possibile reperire in alcun altro angolo del pianeta!!![1]
Sul
versante opposto, il Borneo annovera approssimativamente 15.000 generi di
piante da fiore, assieme a 3.000 di alberi, 420 di uccelli
nonché 221 di mammiferi terrestri, tra cui quelli peculiari dello
specifico habitat, come l’orangutan, l’elefante del Borneo, l’orso
malese, il rinoceronte del Borneo, il babirussa ed
il leopardo nebuloso del Borneo. Secondo fonti autorevoli, tra il
1996 ed il 2005 sono stati scoperte 361 nuove forme di vita, mentre nel
successivo anno e mezzo ne sono state rilevate ben altre 52: 30 pesci, 2
anfibî, 3 alberi, 17 piante, di cui una a foglia larga.
Anche
la conformazione del suolo è enormemente variegata: vallate rigogliose, intricate
foreste pluviali, massici ora carsici ed ora granitici, sconfinati
litorali corallini, pendii coltivabili a terrazze e rilievi di
origine vulcanica (se ne contano pressappoco 500, di cui forse un terzo
attivi ed un paio di decine con manifestazioni eruttive negli ultimi
trent’anni).
Aggiungiamo
che tre delle sei isole più estese in assoluto sono collocate a queste
latitudini; in ordine decrescente di dimensioni: Nuova Guinea, Borneo e
Sumatra.
Non
meno affascinante è la pluralità in ottica antropologica.
La
religione dominante è ad oggi senz’altro quella islamica, a prevalenza sunnita;
resta tuttavia sensibile la presenza di altre forme di spiritualità molto
forte, di cui sono espressione non solo gli imponenti complessi monumentali –
entrambi costruiti attorno al IX secolo d.C. – di Borobudur (buddhista) e di
Prambanan (induista), ma anche la resistenza della “anomalia” balinese (in cui
si fondono induismo, animismo e adorazione degli antenati), una onnipresente
minoranza cristiana e la diffusione di
riti ancestrali radicati nelle diverse realtà locali.
In
parallelo, le comunità hanno affermato usi e costumi estremamente distanti:
dall’inedito culto dei morti dei Toraja negli altopiani del Sud del Sulawesi, alla
mitologia degli uccelli tra i nativi papuani che indossano l’astuccio penico, al
nomadismo degli “zingari del mare” sulla costa del Borneo malese, alla pratica
dell’headhunting (il taglio della testa) tra le genti di stirpe Dayak nel
Kalimantan, fino all'articolata struttura della società a Bali – per fermarci agli
esempî maggiormente noti.
Dunque,
in questo angolo di mondo ancora poco esplorato non c’è mai il pericolo di
annoiarsi, e ciascuno può trovare la propria ragione - probabilmente più di
una - per intraprendere viaggi che assicurano scoperte stupefacenti e vanno di
solito ben oltre le aspettative di chi vi si lascia coinvolgere.
Quali curiosità o passioni animerebbero
il tuo itinerario nel Sud Est Asiatico?
Finuccia & Pietro
finuccia.brugaletta@evolutiontravel.email
Note e riferimenti:
[1]
Petar Beron, The arachnogeography and the “lines” (of Wallace,
Lydekker, Weber) in Historia naturalis bulgarica, 2015, 22:5-30, pag. 6.
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